sabato 29 febbraio 2020

28 febbraio

Ieri pomeriggio sono andata con Umberto a fare una passeggiata a Betlemme partendo dalla zona del muro.
Nonostante fosse venerdì (giorno di festa per i musulmani e quindi con una probabilità più alta di tensioni, soprattutto vicino al muro), abbiamo deciso comunque di andare a fare un'esplorazione. Diversamente dalle prospettive, era tutto estremamente tranquillo e non si è percepita alcuna tensione.

Iniziamo dal lato del check-point: proviamo a seguire il muro, ma ci dobbiamo quasi subito stoppare a causa di un recinto.

Uno dei primi graffiti che mi cattura è il seguente.


Proseguendo verso il Walled Off Hotel, intravediamo in quella che sembra una casa abbandonata un gruppo di cuccioli tenerissimi.


Continuiamo nel tentativo di seguire le insenature della barriera, ma siamo nuovamente bloccati.
Sulle pareti, oltre a tantissimi pannelli esplicativi, è pieno di graffiti d'amore e di speranza.


Questo è un piccolo scorcio di muro in direzione nord-ovest. Da qui si riesce a intravedere il dipanarsi del muro verso nord.

Pinguino simpatico che prova a volare facendo girare un'elica dai colori palestinesi.


Uno dei miei graffiti preferiti, peccato per le tag. 


Leggendo alcuni pannelli esplicativi scopro (mi ricordo e realizzo) che le pareti del muro di Berlino erano alte praticamente la metà rispetto a queste.

Questa foto, invece, rende abbastanza l'idea delle cisterne per la raccolta di acqua piovana di cui ho già scritto. D'estate qui la maggior parte delle persone ha accesso all'acqua corrente per due/tre giorni ogni 20/25 giorni (!!!).



L'esplorazione continua in Hebron Street; camminando ancora ci ritroviamo in cima alla collina di Betlemme senza rendercene conto e in pochissimo tempo siamo alla Natività. Durante tutto il giretto notiamo molte persone in giro, la maggior parte dei negozi chiusi e diversi ragazzi e signori che fumano narghilè all'aperto.

venerdì 28 febbraio 2020

giornata del 24 febbraio

Qualche giorno fa siamo andati a Gerusalemme per una riunione con altri ragazzi del servizio civile. Per la prima volta ho preso l'autobus oltre il check-point. Di conseguenza, abbiamo attraversato il check-point a piedi. Amici ci hanno spiegato che di mattina, la coda per passare i tornelli, far controllare i documenti e forse ottenere il permesso per entrare è lunghissima.
Prima di entrare bisogna superare alcuni di questi "tornelli".

Qui, invece, ci hanno fatto passare dal metal detector (?) e hanno scannerizzato anche i nostri zaini.
Poi controllo documenti, per noi nessun problema. Come sempre, devo solo stare attenta a non farmi scappare qualcosa in arabo.
Dopo la riunione e un bel pranzo, abbiamo partecipato a un giretto guidato in cima al monte degli ulivi. Abbiamo visitato il recinto dell'assunzione, una specie di cripta e poi la chiesa del Pater Noster.
Luogo interessante dal punto di vista linguistico. Infatti lungo tutte le pareti del giardino della chiesa sono affisse traduzioni del padre nostro in quasi (?) tutte le lingue del mondo. Nel nostro gruppo, tra l'altro, c'erano anche dei signori dal Cameroun e dal Congo, quindi è stato piuttosto divertente provare a leggere in altre lingue sconosciute.

Ecco qualche esempio di lingue ignote. (foto fatta male)


Bellissimo tramonto con Al-Aqsa ben visibile e una qualità penosa della foto.


Sulla sinistra della strada per scendere verso Ghetsemani e tornare verso il centro spicca il cimitero ebraico. Ci sono persone in visita e sono particolarmente incuriosita dai numerosi sassolini presenti sopra le tombe.


In questi giorni, invece, ho iniziato a lavorare in ufficio e in una guest-house vicino alla Natività. Niente di troppo stimolante per ora, ma si vedrà (?).



martedì 25 febbraio 2020

SEMPRE INDIETRO SULLA TABELLA DI MARCIA

continuazione del 23 febbraio

Dunque, eravamo rimasti al museo di Banksy e, a riguardo, ci sarebbe molto da dire.
Nonostante sia un museo piccino, è stracolmo di dettagli e testimonianze interessantissime che vanno da video-di ex soldati israeliani a oggetti personali di palestinesi costretti ad abbandonare le loro case con un preavviso di 30 minuti al massimo.

Provocazione all'interno del museo: cosa prenderesti in cinque minuti di tempo prima che la tua casa venga distrutta da un bulldozer?
In una valigia reperto di qualche famiglia palestinese si nota qualche foto e la chiave di casa, spiccano poi alcuni semi (forse nella speranza di poter ancora coltivare qualcosa in futuro). 

In Palestina, tra l'altro, la chiave è un simbolo molto importante. L'abbiamo visto anche arrivando a Jerico. A riguardo ci hanno spiegato che la chiave simboleggia la speranza per molti palestinesi di poter tornare alle loro case, attualmente sotto occupazione israeliana.

Dopo un video molto ironico sulla storia del conflitto arabo-israeliano, mi colpisce molto uno spezzone dal documentario Five Broken Cameras, documentario codiretto dal regista palestinese Emad Burnat e dal regista israeliano Guy Davidi. Emad racconta la penetrazione israeliana nel suo villaggio, Bil'in, e procede a documentare la guerra, nonostante attacchi e raid distruggano cinque videocamere.

Dopo questo video struggente si entra in una stanza dove suona costantemente un telefono. Si viene invitati a rispondere, dall'altra parte della cornetta una voce registrata vi annuncia che dovete lasciare la vostra casa tra cinque minuti.

Poi in altre stanze scopriamo altre storie assurde: per esempio, durante il conflitto (se non sbaglio a fine anni '90) era vietato per legge esibire pubblicamente la bandiera palestinese (rossa, nera, bianca e verde); un giorno un signore contestò pacificamente la cosa camminando per strada con tre cocomeri in testa e sgranocchiandone qualche fetta ogni tanto. Risultato? Trattenuto in caserma per un bel po' di ore.
E così, come questa, anzi peggio, tantissime altre insensatezze che fanno davvero arrabbiare.

Comunque, ad oggi, per come ci hanno detto in tanti, tra i palestinesi vige molta rassegnazione. So solo che, ogni tanto, vicino al muro, qualcuno lancia un po' di pietre e, in risposta, dalle torrette di controllo piovono fumogeni e proiettili di gomma. Questo perlomeno per quanto riguarda Betlemme, ma penso che, ormai, ci sia molta stanchezza.
 
Alla fine della mostra di Banksy, abbiamo visitato un'altra mostra ricca di quadri e sculture di arte contemporanea.


Quelle che seguono, invece, sono un paio di statue/oggetti della sala d'ingresso (anche da sala da tè).



lunedì 24 febbraio 2020

22 febbraio!

Racconto veloce veloce: la mattina ho studiato e ripassato un po' di arabo (fusha) e di palestinese.
Nel pomeriggio con Anna e Umberto primo giro di esplorazione al suq di Betlemme.
Fruttaroli ben foniti con tanti ortaggi e verdure colorate, purtroppo accerchiati da un bel po' di macellerie inquietanti (ghhhh). 

Giusto per dare un'idea, da dove alloggiamo noi (St. Antonio Society Street 121, vicino al checkpoint per entrare a Betlemme) ci vuole circa una mezz'ora a piedi per raggiungere la Natività e il suq, che sono vicinissimi.
Dopo questa bella esplorazione, ci avviamo verso casa, accompagnati da un piacevole sottofondo di campane e muezzin.

23 febbraio (due racconti in uno!)

In mattinata mi sono goduta il giardino di casa nostra (bello rigoglioso e fiorito), scrivendo qualcosina, ascoltando un po' di musica, ma soprattutto godendomi il Sole caldo (c'erano sicuramente più di 20 gradi!). La vista dal giardino/orto è favolosa: si possono ammirare tutte le colline intorno (la maggior parte, in realtà, corollate dagli insediamenti israeliani) e, perdipiù, quando non c'è foschia, si possono addirittura vedere le montagne della Giordania.

* approfondimento insediamenti: dopo qualche giorno qui, è piuttosto facile distinguere un insediamento dal resto. Gli edifici israeliani, infatti, sono palazzoni alti bianchi estremamente ordinati oppure delle casette all'europea con il tetto rosso, sempre perfette e, soprattutto, senza cisterne per l'acqua sui tetti.
Sulla maggior parte dei tetti di Betlemme, invece, sono collocati dei bidoni bianchi o neri per raccogliere l'acqua piovana. Israele, infatti, taglia spesso e volentieri acqua e/o corrente, costringendo a cercare soluzioni alternative.

(Pubblicherò qualche foto nei prossimi giorni per farvi vedere meglio!)

Nelle varie peregrinazioni in giardino ho anche scoperto due tenerissime tartarughe da terra, probabilmente appena uscite dal letargo, ma cordiali abbastanza da farsi accarezzare la corazza terrosa. :)

Dopo un bel pranzo, i soliti tre (ovvero io, Anna e Umberto) ci siamo diretti verso il Walled Off Hotel, museo e hotel pensato e finanziato da Banksy.




Come è ben visibile dalla foto, il museo si trova proprio di fronte al muro.
Prima di entrare, quindi, abbiamo osservato e cercato alcuni graffiti particolari. Mi sono sorpresa a trovarne così tanti e benfatti.
(Prossimamente spero di avere almeno un pomeriggio intero da dedicare all'osservazione e alla cattura di graffiti del muro.)
Ecco qui qualche assaggio!









Come potete vedere, c'è grande varietà di contenuto e di satira, ma ogni blocco di parete (per lo meno in questa zona) è interessantissimo e colmo di dettagli.

(domani aggiorno con il museo e la giornata di oggi!) Intanto enjoyyyy







domenica 23 febbraio 2020

21 febbraio

Sempre con il gruppo di Foggia io, Anna e Umberto abbiamo l'opportunità di visitare alcuni luoghi a qualche decina di chilometri da Betlemme.
Dopo la visita all'asilo (nella stessa struttura in cui alloggiamo), saliamo su un pullmino privato alla volta del luogo dove si pensa sia stato battezzato Gesù.

Betlemme è situata a 710m sul livello del mare e per raggiungere il Giordano (che costituisce il confine con la Giordania) abbiamo continuato a scendere, raggiungendo addirittura i -400 m!
Arrivati al fiume, ho osservato diversi gruppi di ortodossi che si bagnavano la testa o che si facevano una specie di doccia con l'acqua del Giordano incanalata in un paio di tubi.





Dopo aver goduto della temperatura mite e dei raggi del Sole, ci siamo spostati verso il parco del Qumran, luogo abitato dalla comunità essena tra il 1° sec. a.C. e il 1° sec. d.C.
Abbiamo passeggiato tra le rovine dei vari ambienti e ho potuto ammirare le formazioni rocciose che si trovano all'interno del parco. Abbiamo anche avvistato dei dromedari in cima a un costone!




Infine, dopo aver pranzato in un ristorante simil mensa a buffet aperto, abbiamo preso l'ovovia per raggiungere il Monte delle Tentazioni (dove si crede Gesù sia stato tentato dal diavolo del deserto). Montagne rocciose rossastre e numerose grotte. Panorama esteso sulle alture giordane e sul Mar Morto.




20 febbraio 2020

Gita a Gerusalemme sempre insieme al gruppo di gente da Foggia. Prendiamo un autobus di linea da Betlemme. Ci viene spiegato che i palestinesi sull’autobus hanno un permesso speciale e che solitamente si recano a Gerusalemme per motivi di lavoro o familiari (ad esempio visitare un parente in carcere). Dopo un po’ di attesa partiamo e non molto tempo dopo arriviamo al check-point: salgono sul bus un paio di soldat* israeliani che ci chiedono da dove veniamo e che controllano i documenti a qualcuno. Il nostro amico di Foggia M. ci conferma che ci è andata di lusso: di solito, infatti, i soldati fanno scendere tutti i palestinesi dall’autobus per perquisirli. Questa pratica molto comune, oltre che a durare un tot di tempo, si basa esclusivamente sull’umore del soldato di turno: infatti, nonostante il permesso speciale, se il soldato vieta ad un palestinese l’ingresso, per lui/lei non ci sarà altra scelta che rimanere bloccati al ckeck-point (probabilmente solo con l’opzione di rientrare a Betlemme a piedi).
Arrivati a Gerusalemme abbiamo osservato su una cartina la suddivisione del centro città nei quattro quartieri: ebraico, arabo, cattolico e armeno. Iniziando dal quartiere armeno, ormai quasi spopolato, abbiamo visitato il cortile di una chiesa armena, poi il luogo identificato come cenacolino (dai cristiani) e tomba di Davide (dagli ebrei). Attraversiamo la porta di Sion (con evidenti segni dei mortai della Guerra dei Sei Giorni (1967), entrando nel quartiere ebraico.
Possiamo vedere numerosi scorci sulle colline circostanti e intravediamo anche la famosa cupola dorata della moschea Al-Aqsa. Impressionante la quantità di tombe sulle colline circostanti. Sia musulmani che ebrei hanno cercato di seppellire i loro cari il più vicino possibile al luogo in cui, secondo la tradizione, avverrà il giudizio universale. 


Assistiamo poi ad una speciale festa ebraica, ovvero il Bar Mitzvah. Questo rituale celebra il passaggio all’età adulta, che avviene a 13 anni. Dopo questo momento il ragazzo (o la ragazza (con il rito del Bat Mitzvah)) sarà ritenut* responsabile nei confronti della legge ebraica.
Ci sono diversi musicisti e un bel clima di festa. Il festeggiato è elegantissimo (stile matrimonio) e posa per svariate foto con familiari e amici. 

Ci dirigiamo poi verso il famoso muro del pianto, dopo aver mangiato una sorta di pizzetta con pesto e formaggio (non economica). Arriviamo quindi davanti al muro: c’è un bel po’ di gente, prevalentemente fedeli ebrei e qualche turista. L’imponente muro è suddiviso in due da una separazione metallica: la parte sinistra è riservata agli uomini, quella destra alle donne. Gli uomini devono indossare una kippah o un cappellino; le donne nulla. Mi avvicino verso il muro e noto una sorta di libreria da cui si possono prendere in prestito libri per pregare. Nel lato femminile ci sono donne e bambine che pregano: o leggono sedute su delle sedie oppure oscillano davanti al muro, infilando bigliettini di carta in tutti gli anfratti del muro. Intravedo anche qualche signora con il volto ricoperto di lacrime.



Dall’altro lato, invece, succedono molte più cose, che vedo da un gradino che corre lungo tutta la barriera divisoria. Ci sono dei festeggiamenti particolari di cui non so molto, signori che cantano e fotografi che immortalano i momenti più speciali. Diversi signori o ragazzini si allacciano sul braccio e intorno alla testa due lacci neri (tefillin). Quello posizionato sulla testa culmina sulla fronte con una scatoletta nera che contiene quattro brani della Torah.
Dopo aver osservato alcuni particolari rituali, entriamo nel quartiere arabo, riconoscibile fin dai primi passi. Ci viene spiegato che gli israeliani non potrebbero abitare nel quartiere arabo, ma, in realtà, grazie ad agevolazioni o associazioni, capita che qualche famiglia ebrea riesca ad acquistare casa nel quartiere arabo. Le dimore "occupate" sono ben visibili in quanto segnalate con una bandiera di Israele e circondate di telecamere. In più, ci è stato anche detto che la famiglia che ci abita, ogni volta che mette un piede fuori casa, è scortata dalle proprie guardie del corpo. Attraversiamo la porta dei leoni e visitiamo l’Orto degli Ulivi e la chiesa di Ghetsemani.



Poi risaliamo ripercorrendo la stessa strada e ci lanciamo nell’impresa del Santo Sepolcro. Dopo due ore di coda circolare intorno al sepolcro, riusciamo a stare dentro alla tomba di Gesù per qualche secondo. Dopodichè la “guardia” ci richiama per uscire e far entrare altre persone.
Rientriamo verso casa in autobus e ho la fortuna di sedermi vicino a una ragazza palestinese e di fronte a un'altra signora di Gerusalemme con il figlioletto. Dopo i primi sguardi iniziali, ai miei occhi un po' arrabbiati e sfiduciosi, decido di lanciarmi in una chiacchierata in arabo. Il risultato è piuttosto positivo (nonostante il mio vocabolario sia molto arrugginito e le costruzioni delle frasi siano sempre difficoltose). La signora mi racconta un po' della sua storia a partire dal matrimonio (16 anni) e mostrandomi le foto dei due figli. Il piccino è lì accanto a lei e si diverte a sentire il mio arabo strambo; nonostante le mie frasi storpie e i suoni imperfetti, continua ad offrirmi caramelle e frutta secca, sua vitale fonte di sostentamento e distrazione durante il tragitto in autobus.

La giornata si conclude con una cena a base di riso, mandorle e yogurt, carne, insalata e dolce.

sabato 22 febbraio 2020

Alba dall'aereo (circa le 7 del primo giorno) 



19 febbraio 2020

PARTENZA!
Volo di quasi quattro ore senza chiudere occhio (con meno di tre ore di sonno alle spalle) causa luce abbagliante del Sole, alba super e paesaggi mozzafiato. 



Arrivo in aeroporto a Tel Aviv e i controlli sono stati praticamente inesistenti. Mi hanno solo chiesto se fossi stata in Cina, Giappone &co. bella e se viaggiassi sola o in gruppo. FINE. Poi c’è stato un momento di grande panico: dopo queste due domandine mi mettono nel passaporto il famoso visto (fogliettino blu non appiccicato altrimenti poi non entri più nei paesi arabi per il resto della tua vita). Piccolo problemino: mi accorgo che è il visto per turisti da tre mesi, mentre io dovrei avere quello da un anno da volontaria. Con Anna chiediamo a un paio di tipi dei controlli cosa dobbiamo fare, convinte di aver totalmente sbagliato a non presentare la nostra documentazione da volontari allo sportello. Ci dicono che dovremo andare in un ufficio a Gerusalemme o a Tel Aviv dove ci daranno il visto da volontarie. Nel panico e convinte di aver già commesso un bell’errore insistiamo ancora finché il giovanotto, esasperato, va a controllare in un ufficio se siamo registrate correttamente e se appariamo nell’elenco visti giusto. Tutto ok, ribadisce le indicazioni e quindi ci defiliamo. Poi attendiamo 1.5 h la comitiva di 7 persone da Foggia (qualcuno di Consorzio Icaro plus cuggini, mogli e fratelli vari) con l’altro nostro amico volontario, Umberto.
Aeroporto di Tel Aviv piuttosto grandino, non si vede l’ombra di un arabo che sia uno. Un tot di turisti e una bella quantità di ebrei (idem sull’aereo). Zero clima teso e addirittura un signore che, osservando i voli in arrivo e gironzolando, suona la fisarmonica creando un’atmosfera piacevole.
Riunita la combriccola si prende un pullmino verso Betlemme: strade perfette, PIOGGIA, stile occidentale. Passiamo il check-point (vedo il muro per la prima volta e il primo graffito di Banksy, quello con la colomba che indossa il giubbotto antiproiettile). Anche qui zero controlli. Probabilmente conoscevano l’autista e sapevano che sul bus c’erano solo occidentali comunque ho scoperto che:
1) gli ebrei non possono assolutamente entrare a Betlemme, altrimenti rischiano proprio tanto tanto la pellaccia
2) i controlli al check-point (ovviamente) sono più rigidi quando si esce da Betlemme e si oltrepassa il muro

→ miniapprofondimento: passando il muro si rimane ancora in territorio palestinese, ma negli ultimi dieci anni le fantastiche colline del circondario sono state totalmente colonizzate da plurimi insediamenti israeliani, motivo per cui Betlemme è praticamente assediata
→ altro bel punto da osservare è il fatto che Gerusalemme (città sacra per musulmani, ebrei, cristiani e altri ancora) e Betlemme distano di soli 10 km. MA se vivi a Betlemme e non ottieni un permesso speciale (difficile da ottenere!) dall’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) non ti puoi muovere da Betlemme (!!!).

Arrivo, accoglienza nell’ufficio di ATS (Associazione Pro Terra Sancta) dove scopro amaramente che il lavoro pensato per me è in ufficio e non con i bambini, ma vedremo come si evolverà il tutto prossimamente.
Si procede verso il pranzo in un ristorantino locale vicino alla Natività in centro a Betlemme: hummus, ceci sotto un’altra forma, pane e verdure. Poi si inizia un giro in città. Via della Mangiatoia, un paio di chiese sacre e poi visita ad un paio di strutture dove lavoreranno gli altri volontari: la prima una sorta di casa famiglia dove sono accolti ragazzi con problemi sociali/familiari o ragazzi senza identità (se sei figlio di una prostituta per lo stato non esisti). Poi visita a un centro per ragazzi disabili gravi (molti bloccati in carrozzina) con gravissime disabilità fisiche e psichiche. Salutiamo i ragazzi, gli operatori, i volontari e qualche suora e ci dirigiamo verso la maison.
Sistemazione nelle nostre camere da letto (in una struttura cattolica gestita dalle suore con al piano di sopra un centro anziani e anche un asilo), cena al ristorante (La tenda) e poi nanna.


“Questa è la vera difficortà di la doppia morti, la morti cchiù amara, la morti cchiù disgraziata, che non è moriri senza sapiri di moriri,...