sabato 20 giugno 2020

Giovedì siamo andati a Tel Aviv a fare il bagno.
Dopo lo "Shalom" al check-point il mondo cambia. Appaiono i cappelli, scompaiono le taniche d'acqua sui tetti, così come i sorrisi e l'accoglienza. Entri in Israele, uno dei paesi più felici al mondo.

Filo spinato o parete di otto metri che spartisce il mondo.
Privilegio bianco (da occidentale, straniera del nord del mondo) che fa da lasciapassare. Anche qui. Sforzarsi di capire cosa possa significare per chi è nato a Betlemme e non ne è mai uscito. Come si tiene tra le mani questo privilegio?
Per i musulmani è difficilissimo ottenere il permesso per andare di là, a meno che sia per lavoro. Per i cristiani ci sono dei permessi anche di tipo religioso. Cosa significa questa differenza?


Non avere l'acqua e non poter vedere il mare.

Poi ieri una bimba di dodici anni mi ha invitata a bere un tè a casa sua. Una delle abitazioni più povere e fatiscenti dove sia mai stata in vita mia. Casa senza il bagno. L'accoglienza è stata splendente, gioiosa, curiosa.
Mi hanno chiesto di tornare domani. Per un pranzo insieme, con uno dei piatti più buoni che offre la tradizione. Dignità incredibile, generosità estrema e apertura.

Ieri a cena con la nostra prof di arabo che dice: "Quando tornerete qui tra vent'anni con i vostri figli, non ci sarà più la Palestina".

Ti senti calzino ribaltato e non sai che parole usare.
Percepisci e vedi anche tu l'inesorabile e lento logorio di questa terra, di questo popolo.
Imbarazzo misto a impotenza, rassegnazione e rabbia.

Nel naso ancora il profumo della macchia mediterranea attraversata stamattina, tra ulivi e vigne del Cremisan di Beit Jala, dove fanno il vino che beviamo.







Concludo con la poesia di Mahmoud Darwish Carta d'identità e con un grazie.

Ricordate!
Sono un arabo
E la mia carta d’identità è la numero cinquantamila
Ho otto bambini
E il nono arriverà dopo l’estate.
V’irriterete?


Ricordate!
Sono un arabo,
impiegato con gli operai nella cava
Ho otto bambini
Dalle rocce
Ricavo il pane,
I vestiti e i libri.
Non chiedo la carità alle vostre porte
Né mi umilio ai gradini della vostra camera
Perciò, sarete irritati?

Ricordate!
Sono un arabo,
Ho un nome senza titoli
E resto paziente nella terra
La cui gente è irritata.
Le mie radici
furono usurpate prima della nascita del tempo
prima dell’apertura delle ere
prima dei pini, e degli alberi d’olivo
E prima che crescesse l’erba.
Mio padre… viene dalla stirpe dell’aratro,
Non da un ceto privilegiato

e mio nonno, era un contadino
né ben cresciuto, né ben nato!
Mi ha insegnato l’orgoglio del sole
Prima di insegnarmi a leggere,
e la mia casa è come la guardiola di un sorvegliante
fatta di vimini e paglia:
siete soddisfatti del mio stato?
Ho un nome senza titolo!

Ricordate!
Sono un arabo.
E voi avete rubato gli orti dei miei antenati
E la terra che coltivavo
Insieme ai miei figli,
Senza lasciarci nulla
se non queste rocce,
E lo Stato prenderà anche queste,
Come si mormora.

Perciò!
Segnatelo in cima alla vostra prima pagina:
Non odio la gente
Né ho mai abusato di alcuno
ma se divento affamato
La carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo.
Prestate attenzione!
Prestate attenzione!
Alla mia collera
Ed alla mia fame!

1 commento:

  1. La poesia esprime con forza e durezza delle vite umane che chissà se un giorno, avranno Pace?

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“Questa è la vera difficortà di la doppia morti, la morti cchiù amara, la morti cchiù disgraziata, che non è moriri senza sapiri di moriri,...