20 febbraio 2020
Gita
a Gerusalemme sempre insieme al gruppo di gente da Foggia. Prendiamo
un autobus di linea da Betlemme. Ci viene spiegato che i palestinesi
sull’autobus hanno un permesso speciale e che solitamente si recano
a Gerusalemme per motivi di lavoro o familiari (ad esempio visitare
un parente in carcere). Dopo un po’ di attesa partiamo e non molto
tempo dopo arriviamo al check-point: salgono sul bus un paio di
soldat* israeliani che ci chiedono da dove veniamo e che controllano
i documenti a qualcuno. Il nostro amico di Foggia M. ci conferma che
ci è andata di lusso: di solito, infatti, i soldati fanno scendere
tutti i palestinesi dall’autobus per perquisirli. Questa pratica
molto comune, oltre che a durare un tot di tempo, si basa
esclusivamente sull’umore del soldato di turno: infatti,
nonostante il permesso speciale, se il soldato vieta ad un palestinese
l’ingresso, per lui/lei non ci sarà altra scelta che rimanere
bloccati al ckeck-point (probabilmente solo con l’opzione di
rientrare a Betlemme a piedi).
Arrivati
a Gerusalemme abbiamo osservato su una cartina la suddivisione del
centro città nei quattro quartieri: ebraico, arabo, cattolico e
armeno. Iniziando dal quartiere armeno, ormai quasi spopolato,
abbiamo visitato il cortile di una chiesa armena, poi il luogo
identificato come cenacolino (dai cristiani) e tomba di Davide (dagli
ebrei). Attraversiamo la porta di Sion (con evidenti segni dei mortai
della Guerra dei Sei Giorni (1967), entrando nel quartiere ebraico.
Possiamo
vedere numerosi scorci sulle colline circostanti e intravediamo anche
la famosa cupola dorata della moschea Al-Aqsa. Impressionante la quantità di tombe sulle colline circostanti. Sia musulmani che ebrei hanno cercato di seppellire i loro cari il più vicino possibile al luogo in cui, secondo la tradizione, avverrà il giudizio universale.
Assistiamo
poi ad una speciale festa ebraica, ovvero il Bar Mitzvah. Questo
rituale celebra il passaggio all’età adulta, che avviene a 13
anni. Dopo questo momento il ragazzo (o la ragazza (con il rito del
Bat Mitzvah)) sarà ritenut* responsabile nei confronti della legge
ebraica.
Ci
sono diversi musicisti e un bel clima di festa. Il festeggiato è
elegantissimo (stile matrimonio) e posa per svariate foto con
familiari e amici.
Ci
dirigiamo poi verso il famoso muro del pianto, dopo aver mangiato una
sorta di pizzetta con pesto e formaggio (non economica). Arriviamo
quindi davanti al muro: c’è un bel po’ di gente,
prevalentemente fedeli ebrei e qualche turista. L’imponente muro è
suddiviso in due da una separazione metallica: la parte sinistra è
riservata agli uomini, quella destra alle donne. Gli uomini devono
indossare una kippah o un cappellino; le donne nulla. Mi avvicino
verso il muro e noto una sorta di libreria da cui si possono prendere
in prestito libri per pregare. Nel lato femminile ci sono donne e
bambine che pregano: o leggono sedute su delle sedie oppure oscillano
davanti al muro, infilando bigliettini di carta in tutti gli anfratti
del muro. Intravedo anche qualche signora con il volto ricoperto di
lacrime.
Dall’altro lato, invece, succedono molte più cose, che
vedo da un gradino che corre lungo tutta la barriera divisoria. Ci
sono dei festeggiamenti particolari di cui non so molto, signori che
cantano e fotografi che immortalano i momenti più speciali. Diversi
signori o ragazzini si allacciano sul braccio e intorno alla testa
due lacci neri (tefillin). Quello posizionato sulla testa culmina
sulla fronte con una scatoletta nera che contiene quattro brani della
Torah.
Dopo
aver osservato alcuni particolari rituali, entriamo nel quartiere
arabo, riconoscibile fin dai primi passi. Ci viene spiegato che gli israeliani non potrebbero abitare nel quartiere arabo, ma, in realtà, grazie ad agevolazioni o associazioni, capita che qualche famiglia ebrea riesca ad acquistare casa nel quartiere arabo. Le dimore "occupate" sono ben visibili in quanto segnalate con una bandiera di Israele e circondate di telecamere. In più, ci è stato anche detto che la famiglia che ci abita, ogni volta che mette un piede fuori casa, è scortata dalle proprie guardie del corpo. Attraversiamo la porta dei
leoni e visitiamo l’Orto degli Ulivi e la chiesa di Ghetsemani.
Poi
risaliamo ripercorrendo la stessa strada e ci lanciamo nell’impresa
del Santo Sepolcro. Dopo due ore di coda circolare intorno al
sepolcro, riusciamo a stare dentro alla tomba di Gesù per qualche
secondo. Dopodichè la “guardia” ci richiama per uscire e far
entrare altre persone.
Rientriamo
verso casa in autobus e ho la fortuna di sedermi vicino a una ragazza palestinese e di fronte a un'altra signora di Gerusalemme con il figlioletto. Dopo i primi sguardi iniziali, ai miei occhi un po' arrabbiati e sfiduciosi, decido di lanciarmi in una chiacchierata in arabo. Il risultato è piuttosto positivo (nonostante il mio vocabolario sia molto arrugginito e le costruzioni delle frasi siano sempre difficoltose). La signora mi racconta un po' della sua storia a partire dal matrimonio (16 anni) e mostrandomi le foto dei due figli. Il piccino è lì accanto a lei e si diverte a sentire il mio arabo strambo; nonostante le mie frasi storpie e i suoni imperfetti, continua ad offrirmi caramelle e frutta secca, sua vitale fonte di sostentamento e distrazione durante il tragitto in autobus.
La giornata si conclude con una cena a base di riso, mandorle e yogurt, carne, insalata e dolce.
La giornata si conclude con una cena a base di riso, mandorle e yogurt, carne, insalata e dolce.
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