martedì 3 marzo 2020


1 marzo

Primo giro di esplorazione in solitaria: dal momento in cui (per ora (causa corona)) non possiamo uscire dal check-point, decido di andare a vedere Beit Jala, paese accanto a Betlemme.

Dopo una mezz'ora di salita sono già alla chiesa di San Nicola.

Chiesa di San Nicola

Uno dei quattro quartieri centrali (hara') che si sviluppano intorno alla chiesa

Essendo domenica c'è abbastanza movimento: signori che giocano a carte al bar e bambini che giocano a palla per strada. Fortunatamente poche auto e un bel sole, peccato solo per il vento forte.

Continuo a salire e raggiungo un punto panoramico. La vista è molto particolare. Come si nota nella foto seguente, vediamo una sorta di superstrada delimitata da mura belle alte.
Sinceramente non ho idea della funzione di questa barriera e non so nemmeno se faccia parte del muro.

Panorama da Beit Jala

Mi avvio verso il "Cremisan Monastery" ma, non sapendo quanto dista ancora, decido di avviarmi verso il rientro.
Osservo un po' il pendio collinare sotto di me: è pieno di ulivi e spazzatura. Non so come, ma gli ulivi sembrano più forti che mai. Uno ha addirittura messo radici in mezzo al marciapiede.






Entro in un negozietto di vestiti e oggetti vari realizzati a mano. Chiacchiero un po' con la signora del negozio e riprendo la mia discesa verso Betlemme.

Quasi a casa, attraverso per la prima volta uno dei tre campi profughi di Betlemme.
I campi profughi sono dei quartieri nati per ospitare persone fuggite dalla guerra durante il secolo scorso. Non ci sono tende o simili: le persone alloggiano all'interno di abitazioni un po' fatiscenti, probabilmente nate come alloggi di fortuna poi rimasti invariati nel tempo.
Non mi azzardo a fare foto, ma sicuramente ci tornerò di nuovo e proverò a immortalare qualcosa.

Rispetto ai campi profughi ci spiegarono che per molti profughi, in qualche modo, è vantaggioso mantenere questo status quo: le sovvenzioni di cui godono a tutt'oggi sono infatti moltissime.


Quando rientro su Manger Street mi fermo a chiacchierare un po' con un gruppetto di bambini: mi fanno qualche domanda in arabo (ad esempio mi chiedono se ho mai preso il gelato nel negozio accanto), se la ridacchiano facendo qualche battuta sugli israeliani che non capisco. Giochiamo a carta, forbice e sasso e, dopo un po', mi congedo. 

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